Soldi certi dal condono sulle slot. Domande aperte
“Pochi, maledetti e subito”. Ogni governo alle prese con la riduzione del debito pubblico, deve agire seguendo il motto di qualsiasi ufficio recupero crediti. Sarebbe altrimenti inspiegabile l’emendamento dell’esecutivo Letta che ha deciso di ridurre di altri cento milioni di euro il valore della transazione, in via di chiusura, con dieci società concessionarie del gioco d’azzardo che possono depennare dai loro bilanci il fondo di rischio pari a 2 miliardi e mezzo di euro derivanti da un contenzioso con lo Stato per sanzioni elevate nel 2007.
È toccato al sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta precisare che l’emendamento del governo al decreto Imu- Cig non sarebbe «uno sconto ulteriore ma la definizione di una cifra realistica» in linea con le indicazioni della Corte dei Conti per un provvedimento di «recupero di risorse» intese a ridurre l’esposizione dello Stato.
L’opposizione politica del Movimento 5 Stelle ha parlato di «furto» e di «regalo fatto alle lobby». Forse ancora più duro è stato il commento del direttore editoriale di Vita, Riccardo Bonacina, che ha definito l’emendamento governativo «una vera vergogna e la prova della nullità della politica incapace di tenere a bada gli appetiti dell’industria più rampante d’Italia». Bonacina non si capacita come si possa agevolare in tal modo imprese tipo la Gtech che ha realizzato, nel 2012, tre miliardi di euro di ricavi e mostra utili in crescita.
Non si tratta di accusare o trovare il colpevole. La vicenda impone delle domande aperte che non siamo smontabili dalla solita citazione di Max Weber sulla distinzione tra etica della convinzione, possibile al singolo, ed etica della responsabilità, propria del politico che deve valutare tutte le conseguenze del caso. La domanda potrebbe essere la seguente: Può oggi un Governo imporre ai concessionari del gioco d’azzardo delle imposte più elevate tali da ridurre i loro profitti? Può affrontare il rischio del giudizio del magistrato contabile senza concludere transazioni al 25 o 20 per cento del dovuto su sanzioni già ridottissime dall’originaria cifra iperbolica di oltre 90 miliardi di euro riscontrata dalla Guardia di finanza? Oppure deve avvenire come i cento miliardi di euro tassati al 5 per cento con lo scudo fiscale approntato, a suo tempo, dall’ex ministro Tremonti per far rientrare, in modo anonimo, i capitali accumulati in vario modo all’estero?
L’Italia non è come la Grecia che sta vendendo in questi giorni anche le sedi dei ministeri e della stessa Polizia di stato, ma la legge di stabilità prevede, in un triennio, il ricavo di un miliardo e mezzo di euro dalla vendita dei beni pubblici, mentre i malati di Sla sono costretti, di nuovo, a stazionare davanti al ministero dell’Economia per chiedere il rifinanziamento del fondo per i non autosufficienti.
Può esistere una politica diversa? La faccenda del gioco d’azzardo legalizzato, con il ruolo prevalente delle società concessionarie, aiuta a porre al centro tale questione che non può essere rimossa. Non ci dovremmo stupire, infatti, del fatto che Lottomatica, il gigante dei concessionari dell’azzardo, presenterà il 24 ottobre a Firenze, in occasione dell’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) la terza edizione della Campagna informativa “18+” realizzata in collaborazione con il Moige (Movimento Italiano Genitori) e la Fit (Federazione Italiana Tabaccai). All’evento parteciperanno, oltre a varie autorità, anche il vicedirettore del Tg1 e lo scrittore Cesare Lanza, autore del libro “Elogio del gioco d’azzardo”.
Se non c’è alternativa allo stato attuale delle cose, con pochi parlamentari disposti a disobbedire agli ordini di scuderia dei partiti, non esistono ragioni per scandalizzarsi. Ma, forse, il finale di partita non è scontato.